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[ un paio di orecchie (da tirare) ]
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Dur. 13' 01"
Circa due mesi prima di mettersi a copiare il disegno di Gauguin e dipingere la serie delle quattro arlesiane, Vincent aveva ricevuto alcune fotografie dei quadri che Gauguin e Bernard avevano appena realizzato standosene al nord, in Bretagna. E subito scrive a Bernard.

Guardate, nell’Adorazione dei Magi, il paesaggio mi incanta troppo perché osi criticare, e, tuttavia, è troppo forte l’impossibilità di supporre un parto così, addirittura sulla strada, la madre che si mette a pregare anziché dare da poppare; le grandi rane ecclesiastiche inginocchiate come in una crisi di epilessia, sono là, solo Dio sa come, e perché! Ma questo io non lo trovo sano. Poiché io adoro il vero, il possibile, e non sono mai capace di uno slancio spirituale, allora mi inchino davanti a quello studio, forte da far tremare, di Millet: i contadini che portano al cascinale un vitello nato nei campi… Una Annunciazione di che cosa? la vostra. Vedo delle figure di angeli - parola mia, certo eleganti - una terrazza con due cipressi, che mi piace molto; è tutto molto arioso e luminoso… ma, insomma, passata questa prima impressione, mi chiedo se è una mistificazione, e queste comparse non mi dicono più niente… E tu baratti questo (la tua passeggiata di Bretoni in un prato) con qualcosa - bisogna dire le parole - di fittizio, di affettato!… Parola mia mi prende una tristezza, e con la presente ti chiedo di nuovo, gridando forte e insultandoti con quanta forza ho nei polmoni, di tornare a essere un po’ te stesso. Il Cristo che porta la croce è atroce. Le macchie di colore sono armoniose? Non ti faccio grazia di una sola banalità – sì, proprio poncif.[1]

Vincent non sembra disposto a sopportare deviazioni dalla poetica del realismo ottocentesco; e non sarebbe stato più tollerante, ad esempio, nei confronti del monumentale Cristo con angeli, dipinto da Manet per il Salon parigino  del 1864. Per  Vincent l’ingresso di una cava non è un Santo Sepolcro e “un orto di ulivi” non è che un “orto di ulivi” dove non c’è Passione e Morte di altri se non di chi ci lavora.
Conoscendo bene Vincent, Gauguin si aspettava la sua tirata di orecchie e, nel giro di lettere di quella fine di novembre, mette in guardia Bernard: Tengo per me la tela del Cristo nell’orto degli ulivi. E’ inutile mostrarla a Theo, sarebbe capita ancor meno del resto. Ne ho mandato il disegno in una lettera a Vincent[2], che mi aveva scritto una lettera triste”[3].
- “Ebbene, non mi ha capito!”
- ha forse esclamato Vincent vedendo quel disegno.
Evidentemente Gauguin non era ancora informato del duro giudizio già espresso a Bernard da Vincent – che, da parte sua, non aveva tardato a farlo conoscere anche al fratello.
Il fatto è che questo mese ho lavorato fra gli uliveti, perché mi avevano fatto arrabbiare con i loro Cristi nell’orto degli ulivi[4], dove non c’è niente di vero[5]. Beninteso non ho intenzione di fare qualcosa tratto dalla Bibbia – l’ho scritto a Bernard e anche a Gauguin, che credevo fosse loro dovere pensare e non sognare, e che quindi sono rimasto sorpreso, vedendo il loro lavoro, che si lascino andare a una cosa simile. Perché Bernard mi ha mandato le fotografie dei suoi quadri. Quello che hanno è che sono una specie di incubi, c’è dell’erudizione - e si vede che c’è qualcuno che va pazzo per i primitivi - ma francamente i preraffaelliti inglesi facevano cose molto migliori, e poi Puvis e Delacroix erano ancora più sani dei preraffaelliti. Non che questo mi lasci freddo, ma mi dà un penoso senso di una scivolata invece che di un progresso…[6]
Certamente con queste parole Vincent intende una scivolata fuori dalla realtà sensibile e immediata delle cose. Tuttavia questi quadri non sono del tutto fuori, però, dalla realtà della pietà popolare, tuttora viva e percettibile da parte di Bernard e Gauguin. Opere dunque, le loro, ancora improntate da un "realismo"... antropologico piuttosto che oculistico. Ma Vincent ci vede soprattutto lo zampino rischioso del “simbolismo”, che esporrebbe la pittura allo sbaraglio dei fervori letterari o religiosi.
Sembra proprio che l’unica devozione di Vincent sia rivolta alla natura e alla realtà; così, anche le scene sacre - che pure lui qualche volta dipinge - non scaturiscono mai dall’immaginazione oltremondana o dalla costruzione letteraria, ma sempre dalla presenza diretta, sotto i suoi occhi, di oggetti reali, come una diligenza per Tarascona  o i concreti “fogli di carta” con sopra la riproduzione di immagini da dove il sacro e lo spirituale sono stati già spremuti via dai cilindri delle rotative della moderna industria della stampa.

In quel tormentato novembre 1889, dunque, Vincent è indignato con Bernard e Gauguin per quello che considera un loro arretramento rispetto al punto raggiunto dalla pittura con il realismo moderno, scientista, materialista e socialmente ispirato. Quando poi, appena due mesi dopo, riprenderà il disegno di Gauguin per copiarlo a colori, poteva forse essere già svanita quella formidabile arrabbiatura che gli aveva fatto gridare nei loro confronti: “io adoro il vero, il possibile, e non sono mai capace di uno slancio spirituale”? 

Non mi piace affatto immaginarmi un Vincent irritato per troppo tempo con i suoi amici e con Gauguin in particolare; ma nei dipinti con madame Ginoux non riesco proprio a smettere di vederci la cronaca di una controversia.
Non posso proprio credere, ad esempio, che l’inversione di uno dei due libri attuato in una sola delle quattro tele[7] sia una variante eseguita con leggerezza piuttosto che un sagace richiamo a “prestare orecchio” a quella parte bassa del quadro con i libri chiusi, messi lì da Vincent giusto al posto di quel bicchiere di assenzio che Gauguin si era scolato - magari per aiutarsi a vagheggiare la scena di un caffè con dentro una donna arlesiana ben disposta.
[... questi libri andrebbero tenuti chiusi quando si dipinge… ]
Un’opera, da prendere, appunto, come vostra e mia, come il riassunto dei nostri mesi di lavoro in comune[8], e anche di contrasti, in comune.
[... la letteratura non è la pittura - figuriamoci poi la propaganda religiosa...]

Se nella figura di madame Ginoux coi libri (aperti) si celava il ritratto di Gauguin, nelle quattro arlesiane coi libri (chiusi) si celerebbe forse il ritratto di van Gogh stesso che prova, e riprova per quattro volte, a prender la parola per poter dire, d’un fiato e senza esitazione: un libro è un libro è un libro…
Una sentenza che ha preso la forma di una cartolina illustrata da spedire ad un amico lontano. - “Per il ritratto di Arlesiana, sai che ne ho promesso uno all’amico Gauguin e glielo farai pervenire”[9], chiederà seccamente a Theo, alla fine di aprile.
Così, qualche giorno dopo averlo ricevuto Gauguin inviò a Theo una risposta da consegnare a Vincent: Ho visto il vostro quadro di Madame Ginoux: molto bello e molto strano…[10]
Proprio così! “strano”... Gauguin avrebbe forse visto o intravisto anche il “retro” di quello “strano” quadro inviatogli da Vincent?
[... Un quadro è un quadro è un quadro… di questo passo arriverà a dire di sé stessa, la pittura? ma troverà ancora qualcuno pronto a giurare sulla sua santità, reliquiaria e ultraterrena…]

- “Ebbene, ancora una volta non sono stato capito!” – esclamerebbe forse Vincent a questo punto. Tutto il mio fantasticato faccia a faccia e quadro a quadro potrebbe essere difatti il frutto soggettivo di una mia proiezione personale; un ritratto di me stesso e un imbroglio inattendibile, ai fini della “restituzione” della “verità in pittura”.
… Sia pure così, di un pugno di mosche mi rimarrebbe comunque tra le mani il “penoso senso di una scivolata invece che di un progresso”: una frase di Vincent che potrebbe essere proprio ciò che mancava per decidermi ad affrontare il trascurato  argomento dell’opportunismo in pittura

[1] - Vincent a Bernard, Arles, 26 novembre 1889 (824-B21).
[2] - Gauguin a Vincent, lettera da Le Pouldu del 13 novembre 1889 (819 –GAC 37).
[3] - Gauguin a Bernard, Le Pouldu, fine novembre 1889. Nella stessa lettera, riferendosi al dipinto di Bernard del Cristo nell'orto degli ulivi, di cui aveva ricevuto una foto, gli scrive: ".. il Cristo mi sembra non solamente migliore, ma belissimo. La tela respira da un capo all'altro una volontà, uno stile immaginativo che trovo stupefacente. La lunghezza smisurata della figura in preghiera è molto ardita e aggiunge movimento. Avete fatto bene ad esagerare, almeno non si pensa al modello e a quella maledetta natura". - In Lettere di Gauguin, ed Longanesi, Milano 1948, p. 156.
[4] - Gauguin e Bernard avevano mandato a Vincent delle fotografie delle loro opere su questo tema.  (vedi immagini in alto, e gli uliveti di van Gogh).
[5] - “Di vero” avrebbe potuto esserci il suo orecchio tagliato?
[6] - Vincent a  Theo, Saint-Rémy, 26 novembre 1889 (n. 823-615).
[7] - L’Arlesiana F 543, forse l'ultima, calligrafica e più tinta che dipinta, con colori tenuti tenui come per un'idea.
[8] - Lettera di Vincent a Gauguin, da Auverse-sur-Oise 17 giugno 1890 (n. RM23-643).
[9] - Vincent a Theo, Saint-Rémy, 29 aprile 1890 (n. 863-629).
[10] - Qualche giorno dopo Gauguin, da Le Pouldu, inviò a Theo una lettera da consegnare a Vincent, che ricevette il 15 giugno: “Ho visto il quadro di Madame Ginoux: molto bello e molto strano. Mi piace più del mio disegno. Nonostante il vostro stato di salute, non avete mai lavorato con tanto “equilibrio”, conservando tuttavia quel sentimento e quel calore interiore necessari a un’opera d’arte”.
Immagini, dall'alto: - Emile Bernard 1889: L’adorazione dei magi (xilografia); Annunciazione; Cristo porta la croce (tela perduta); Cristo nell'orto degli ulivi. - Paul Gauguin 1889, Cristo nell’orto degli ulivi (tela della collezione Stuart Pivart).



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